Il sito archeologico di Umm Al-Rasas si trova a ca. 30 km a SE della città di Madaba (Giordania): a N dello wadi Mujib, copre una decina di ettari sull’altopiano di Moab. I resti consistono in un’imponente area fortificata da un muraglione di 158 per 140 m (Fig. 1), con contrafforti e quattro torri angolari, occupata da numerosi edifici; all’esterno, nella parte settentrionale, si estende una fitta area di edifici, identificati sia come sacri sia come abitazioni (Piccirillo 2008).
II toponimo arabo della località Umm Al-Rasas (madre del Piombo), dovuto alla presenza tra i grandi blocchi di pietra delle mura di un fine strato di piombo al posto della malta, fu registrato da Ulrich Seetzen (1767-1811), il primo esploratore europeo ad addentrarsi nel 1806 nel territorio transgiordano allora sotto il controllo esclusivo delle tribù beduine, anche se giuridicamente facente parte dell’impero ottomano.
Nel 1896 vi giungono da Gerusalemme Siméon Vailhé e J. Germer-Durand del convento di Notre-Dame de France. I due padri riconoscono nei resti all’interno delle mura un possibile campo romano che, messo in relazione con un testo geografico dell’Onomasticon di Eusebio (Eus., On. 128, 21), poteva dare la chiave per l’identificazione storica dei resti archeologici. Principalmente fu padre Germer-Durand a soffermarsi per primo sulla possibile identificazione storica delle rovine del campo romano con la città biblica di Mefaat (Piccirillo, Alliata 1994).
L’identificazione certa di Umm Al-Rasas con l’antica Kastron Mefaa, già ipotizzata da Germer-Durand, è il risultato più importante delle indagini scientifiche realizzate sul campo dallo Studium Biblicum Franciscanum (Piccirillo 1991, 1994), che ha condotto le ricerche archeologiche a partire dal 1986 fino al 2004 con il sostegno del Dipartimento delle Antichità del Regno Hashemita di Giordania. Il rinvenimento delle iscrizioni dei mosaici delle due chiese, dal punto di vista storico, ha permesso di ottenere l’identificazione delle rovine di Umm Al-Rasas con Kastron Mefaa, almeno due importanti date per la cronologia assoluta del complesso ecclesiastico, e altre preziose notizie di primario interesse per la ricostruzione storica di diversi aspetti della vita della popolazione cristiana di Kastron Mefaa.
Le ricerche archeologiche dirette da padre Michele Piccirillo hanno fatto emergere una realtà complessa e inaspettata: un fortilizio romano e un gran numero di edifici sacri che alla fine dell’VIII secolo sotto la sovranità del califfato arabo conservava ancora la sua identità cristiana pienamente organizzata e con grande vitalità artistica. Il complesso religioso più rilevante è quello di Santo Stefano, dal nome del protodiacono e protomartire al quale era dedicata la chiesa principale, sviluppatosi tra il VI e l’VIII secolo e costituito almeno da quattro edifici intercomunicanti: la chiesa dell’Edicola, la più antica, la chiesa del Vescovo Sergio, a cui appartengono il battistero e la cappella funeraria in facciata, la chiesa di Santo Stefano e la chiesa del Cortile, ricavata tra le tre chiese.
Dall’osservazione delle murature affioranti e dalle date conservate nelle iscrizioni dei pavimenti mosaicati, il gruppo di archeologi guidati da Piccirillo ha individuato due fasi principali del complesso. In periodo bizantino, nella seconda metà del VI secolo, fu costruita la chiesa del Vescovo Sergio mosaicata nel 587, la quale era affiancata a SE a un edificio preesistente che in epoca omayyade fu sostituito dalla chiesa di Santo Stefano. Nell’iscrizione del mosaico della chiesa di Santo Stefano ai lati dell’altare si legge che al tempo del Vescovo Giobbe nel 756 il mosaicista Staurachius e il suo collega Euremius mosaicarono il bema. Una équipe diversa di mosaicisti che restò anonima realizzò la decorazione del corpo della chiesa eseguita al tempo del Vescovo Sergio II. Le cifre restaurate della data dell’iscrizione dedicatoria nella navata centrale lungo il gradino del presbiterio non permettono di precisare meglio l’anno, anche se lo stile del mosaico rinvia all’epoca omayyade. Il complesso di Santo Stefano si caratterizza come un insieme architettonico sviluppatosi tra il VI e l’VIII-IX secolo d.C., epoca dell’abbandono.
Il presente lavoro si è concentrato sulla prestigiosa decorazione musiva realizzata in momenti diversi nelle chiese del Vescovo Sergio e di Santo Stefano, entrambe a tre navate, monoabsidate con il presbiterio rialzato di due gradini. Il programma decorativo della chiesa del Vescovo Sergio prevede in primo luogo la rappresentazione della vendemmia, caratterizzata dalla presenza di tralci di vite e foglie di acanto utilizzate anche per frazionare la superficie della navata centrale. Notevole è la ricchezza compositiva con la quale si è voluto dare risalto all’altare mettendo in evidenza l’iscrizione dedicatoria con il nome del vescovo Sergio. Un altro tema che nel programma figurativo ha una notevole preponderanza è la ricca serie di benefattori raffigurati, impegnati in lavori di ogni genere. La chiesa di Santo Stefano è caratterizzata da due motivi fondamentali: sul pannello centrale, pensato come unico tappeto frazionato da girali e tralci di vite, vengono rappresentate scene di pastorizia, caccia e vendemmia racchiuse in un paesaggio nilotico. Per decorare gli stretti e lunghi spazi dell’intercolumnio, vignette delle principali città di Palestina (intercolumnio Nord) e Giordania (intercolumnio Sud) (Piccirillo 1986). Dal punto di vista iconografico e artistico, nonostante le asportazioni patite dai motivi figurativi durante la crisi iconofoba, i due programmi musivi risultano ancora due lavori eccellenti per tecnica di realizzazione e scelta dei motivi dei maestri mosaicisti attivi nella regione di Madaba in epoca bizantino-omayyade.
Infine, a partire dal 2004 il sito è stato iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale in occasione della 28a sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale tenutasi dal 28 giugno al 7 luglio 2004 a Suzhou (Cina).
Damiano Portarena